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littré

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développer l'apprentissage précoce de deux langues vivantes en plus de la langue maternelle

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développer l'apprentissage précoce de deux langues vivantes en plus de la langue maternelle;

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la langue utilisée dans les stages erasmus devrait être la langue du pays d'accueil

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la langue utilisée dans les stages erasmus devrait être la langue du pays d'accueil;

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1st (istituto di scienze del lavoro dell'università cattolica di lovanio) «comprendre et maîtriser la bureautique. guide de lecture d'un change ment».

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1st (institut des sciences du travail de l'université catholique de louvain) comprendre et maîtriser la bureautique que

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trevi, nel suo per uno junghismo critico, sviluppa, pur senza arrivare alle volgarità di bloch, una critica fondata a questa parziale lacuna metapsicologica dell’opera junghiana. a fondamento della propria riflessione critica, trevi ricorre a de saussure, con il suo corso di linguistica generale e alla celeberrima distinzione, interna al linguaggio, tra langue e parole irriducibili l’una all’altra: “la langue (intesa come insieme codificato dei vocaboli, delle regole fonetiche, grammaticali e sintattiche che strutturano l’apparato lessicale, nonché dell’universo dei nessi semantici che, in un dato momento storico, connettono i vocaboli o i loro raggruppamenti a determinati significati) e la parole (intesa come concreta espressione individuale che, attingendo all’immenso tesoro della langue e declinandolo in modi singoli e irripetibili, rende attuale il linguaggio e ne rappresenta anzi l’unico veicolo e l’unica autentica espressione)” trevi, 1987. la langue, pur permettendosi per esigenze didattiche una cristallizzazione funzionale, è in continua trasformazione, ma la vitalità che la sostiene è appannaggio esclusivo della parole: “l’esecuzione non è mai fatta dalla massa, l’esecuzione è sempre individuale.” de saussure, 1915. d’altro canto è pur vero che la parole non potrebbe esplicarsi senza fondarsi sul tessuto strutturale della langue che, essendo trasmessa culturalmente, crea la pre-condizione senza di cui non avverrebbe il fenomeno individuale e creativo della parole. per approssimazione potremmo allora sostenere che il collettivo espresso dalla langue determini la parole individuale che a sua volta, in quanto fenomeno individuale condiziona e trasforma la langue che appartiene all’universo collettivo. trevi propone di utilizzare lo stesso modello saussuriano sostituendo alla parole l’individuo e alla langue la cultura: da ciò deriva che l’individuo è un prodotto della cultura, ma è a sua volta produttore di cultura. la circolarità del modello permette di vedere, quindi, la mutua relazione di individuo e cultura e fornisce un’immagine assolutamente efficace di orizzontalità dell’individuazione, carente nella concezione junghiana. secondo trevi, jung per evitare di costruire una concezione individualistica arbitraria e fine a se stessa dell’uomo, finì per ancorare l’individuazione all’esplicitazione di un’individualità già data attraverso il passaggio inconscio-conscio. così facendo, la datità dell’individuo esclude qualsiasi processo di storicizzazione e di scambio con la cultura e rende problematico il processo di differenziazione su cui jung fonda l’individuazione stessa. nelle parole di trevi: “l’individuo è concreta realtà storica che si costituisce, si trasforma (e si de-costituisce) anche nel continuo scambio con la cultura, la quale è a sua volta realtà storica in perpetua trasformazione, essendo tale trasformazione dovuta, in ultima istanza, proprio all’apporto creatore degli individui. lo scambio tra individuo e cultura, d’altra parte, rimane espressione astratta finché non si assume l’individuo nel complesso tessuto delle sue relazioni sociali, nel continuo essere aperto all’altro e nell’inesauribile dialogo che costituisce appunto l’individuo come individuo concreto.” trevi, 1987. a onor del vero, l'interpretazione di trevi marginalizza, non menzionandolo, l'esistenza dell'inconscio personale junghiano, che proprio nel rapporto col mondo esterno si costituisce. l’autore vuole qui rivendicare la natura plastica dell’individualità, sempre impegnata in un processo osmotico con la cultura, rimarcando il sacrificio in termini di perdita di aggiunte possibili che sarebbe visibile nella teoria degli archetipi, non discostandosi in ciò dalla critica di bloch. “se vogliamo accogliere nella sua pienezza euristica il concetto di individuazione, che costituisce il perno del pensiero junghiano, dobbiamo rinunciare alla garanzia fittizia della datità dell’individuo e concepire quest’ultimo come novità e rischio, apertura e scacco, possibilità positiva di costituirsi come produttore di cultura e possibilità negativa di rimanere perennemente prodotto dalla cultura.” ibidem. i rischi da accettare si collocano nel continuum che parte dall’idea di datità assoluta dell’individuo, espressione ontologica e fenotipica di un’esistenza già scritta, e termina con l’idea dell’arbitrarietà assoluta, laddove il collettivo stabilisce in toto l’individuale, senza lasciare alcun margine di produttività propria. sappiamo bene -e l’esperienza clinica ce lo ricorda costantemente- che l’individuo si costituisce e si decostituisce sotto la pressione incessante dell’interscambio con gli altri individui. “se l’individuo deve continuamente porsi problemi di opposizioni laceranti e di sintesi componenti (…) è appunto perché la cultura che lo plasma si costituisce anche come minaccia alla sua creatività, come mortificazione e reificazione, come assoggettamento e spegnimento. (…) il cammino -pur sempre non garantito dell’individuo (e fatto di ripensamenti, indugi, bivi paralizzanti e ritorni)- è quello che va dal suo essere prodotto della cultura al suo esserne produttore. questa direzione orizzontale dell’individuazione non deve in alcun modo esautorare quella che abbiamo chiamato direzione verticale dell’individuazione stessa e che costituisce il massimo interesse di jung”. ibidem. la datità dell’individuo, il suo essere kantianamente e geneticamente predisposto a strutturare l’esperienza attraverso le lenti archetipiche andrebbe quindi intesa maggiormente come suggestione metaforica, e l’inconscio conseguentemente come spazio mentale del pensiero simbolico, attività che “risolvendo opposizioni laceranti in antinomie operanti” jaspers,1919 ed elaborando incessantemente potenzialità legate al non ancora, consente all’individuo di costituirsi come produttore. nel testo di trevi: “la ricchezza dell’attività simbolica che -a livello prevalentemente inconscio- caratterizza la vita dell’individuo è la più palese testimonianza delle lacerazioni e delle sintesi che l’inconscio sopporta e crea nel suo continuo interscambio con la cultura. l’attività simbolica è il necessario correlato della natura problematica del rapporto tra il singolo e la sua matrice culturale e il fondamento di ogni autentica soluzione. il difficile non sta nel concepire l’individuazione come metafora dell’esplicitazione del già dato, il difficile sta nel congiungere tale metafora (in sé legittima per il suo valore altamente euristico) con l’interazione (orizzontale) tra individuo e cultura, con quella circolarità tra uno e l’altra che il modello linguistico saussuriano ci ha consentito di comprendere meglio (…) non c’è elemento dell’individuo che non appartenga alla cultura, ma non c’è movimento della cultura che non venga elaborato nel vivente organismo dell’individuo.” trevi, 1987.

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